COVID-19: TRA DETENUTI E FAMILIARI

“L’essere umano ha bisogno di affetto, non importa di che tipo, importante che sia affetto”.
Prendendo le mosse da tale presupposto, il diritto all’affettività dei detenuti, riferito in primis alla relazione affettiva con i propri famigliari, non può che essere collocato in un perimetro dai contorni molto ampi, che si misura e trova la sua definizione in una parallela evoluzione sociale che ha mutato, nel suo divenire, l’antica accezione punitiva del sistema carcerario con la funzione riabilitativa oggi riconosciuta. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra sviluppo culturale della società civile e legislazione del diritto in parola.
Lo specifico diritto all’affettività, su cui si circoscrive lo sguardo del presente articolo, nel più ampio tema dei diritti dei detenuti, è delineato dagli spazi di socialità intramurari, dalla predisposizione di strutture necessarie, dal regime dei colloqui e delle telefonate, così come dagli effetti della condanna sul matrimonio e sul rapporto genitori-figli. In una funambolica ricerca di equilibrio, in cui le inevitabili contraddizioni tra ragione e sentimento rilevano a pubblica cassa di risonanza nell’evoluzione del sistema carcerario, si muove quindi la disciplina dei diritti riconosciuti ai detenuti.

La tutela delle relazioni famigliari ha ottenuto sempre maggior considerazione nella normativa penitenziaria italiana, quale risorsa imprescindibile nel percorso di reinserimento sociale del reo, ponendosi come connotato inderogabile dell’esecuzione penale.
Tali affermazioni di principio, tuttavia, non hanno trovato completa corrispondenza nella loro espressione pratica, risaltando ritardi e lacune che hanno portato le carceri italiane sotto la lente del Consiglio d’Europa. È del 21 gennaio 2020 il corposo report pubblicato dal “Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti e delle Punizioni Inumane o Degradanti” a seguito della visita presso alcuni istituti penitenziari italiani, che denuncia le difficoltà logistiche, strutturali, organizzative in cui versa il sistema carcerario nel nostro paese.
Oggi più che mai la tenuta del sistema è messa a dura prova: i colloqui dei detenuti con i familiari in presenza, infatti, quale diretta conseguenza delle limitazioni degli spostamenti nelle zone rosse per l’emergenza Covid-19, sono di difficile attuazione. Permane, tuttavia, la possibilità delle videochiamate per ovviare al problema. Nell’ultimo aggiornamento del Garante nazionale delle persone private della libertà, si fa rifermento alla suddivisione del territorio nazionale in aree che determinano differenti possibilità di spostamento al loro interno e all’esterno di ciascuna di esse, che si riflette in modo naturale anche sulle possibilità di accesso di parenti e persone care agli Istituti penitenziari sia per adulti che per minori.
«Nessuna particolare norma di blocco dei colloqui visivi è adottata, né è questa l’intenzione delle Amministrazioni responsabili, – spiega il Garante – ma evidentemente l’impossibilità di taluni spostamenti, se non per motivi eccezionali, ricade sull’effettiva fruibilità dei colloqui stessi».
Nell’ambito del diritto all’affettività, l’adeguata implementazione della dimensione più intima delle relazioni costituisce una richiesta che si scontra con tali difficoltà. Il mantenimento delle relazioni personali e con il mondo esterno, la definizione di strumenti volti a contrastare l’alienazione, il favor familiae (indistinto tra situazioni di fatto e di diritto) che il nostro Ordinamento penitenziario garantisce, tuttavia, costituiscono solo alcuni degli elementi caratterizzanti le nostre carceri. Questi, contestualmente alle contrapposte lacune ancora in essere, nell’ampio spettro del diritto all’affettività, quali l’impossibilità per i detenuti di godere di un’effettiva tutela dei rapporti intimi o l’inaccettabile presenza, negli istituti penitenziari, dei figli minori dei genitori in vinculis tracciano, nello scenario italiano, un quadro ricco di ombre ancora irrisolte. Ombre che si ripercuotono inevitabilmente, oltre che sulla persona ristretta, anche sulla comunità familiare cui la stessa appartiene, ledendone i diritti.
È riscontrabile, altresì, una violazione del diritto alla salute, sia individuale che collettiva, tutelato dall’art. 32 Cost: per quanto concerne il primo profilo, importa sottolineare che con ”stato di salute” non vada intesa esclusivamente la mera assenza di malattia, bensì uno stato complessivo di benessere ed equilibrio psicofisico; in merito al secondo, il Comitato Nazionale di Bioetica , ponendo l’accento sugli effetti collaterali causati dall’astinenza sessuale cui è costretto il detenuto, ha recentemente evidenziato come essa sia responsabile di un’ intensificazione di rapporti omosessuali a rischio, che incrementano in maniera significativa la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. Proprio da tali considerazioni deriva la situazione paradossale per cui la prigione è stata definita “l’unico luogo in cui si apre una cartella clinica a una persona sana, che non è malata, ma che probabilmente lo diventerà”.
Oltreconfine, viceversa, il problema non è stato ignorato: in molti paesi, infatti, è prevista la possibilità di usufruire di spazi ove i detenuti possono trascorrere alcune ore in compagnia di individui con cui condividono legami di natura affettiva. Un’analisi comparativa con le realtà penitenziarie estere rileva quale elemento di oggettiva possibilità di realizzazione degli intenti, ove è evidente come la valorizzazione di esperienze e competenze di rilievo conduca alla realizzazione di obiettivi fondamentali per la piena rappresentazione dei principi trattati, conseguendo peraltro risultati importanti in termini di riduzione della spesa, presa sui detenuti e, soprattutto, resa, in termini di riabilitazione sociale -e culturale- incomparabilmente superiori.
Se può essere agevole prendere ad esempio le eccellenze nordeuropee, ove sono predisposte vere e proprie case arredate di cui i detenuti possono usufruire per trascorrere del tempo con i propri cari, senza il controllo visivo da parte del personale di custodia, risulterà di certo meno confortevole prendere atto di come realtà molto più lontane e che da sempre si pongono in una relazione complicata con la tutela internazionale dei diritti umani, quali il Brasile, garantiscono ai soggetti in vinculis la possibilità di godere di un incontro intimo settimanale.
Esistono, dunque, sistemi di “alternative affettive” che consentono una minor disgregazione delle famiglie ed una diminuzione della recidiva, il cui volano risulta essere essenzialmente la concertazione dei soggetti chiamati in causa nella realizzazione di tali progetti che, insieme, si sono mossi, partendo dal semplice presupposto per cui “a clean, well-lighted place” può fare bene alle persone e, di conseguenza, al sistema, contribuendo alla realizzazione dell’imprescindibile bisogno di affetto congenito all’uomo.
Trattasi di un terreno insidioso che merita di essere analizzato a fondo, per portare in superficie luci e ombre di quello che appare come un vero e proprio diritto sommerso, la cui espressione deve, nel suo esercizio,
Cella del carcere di Halden: l’eccellenza norvegese
contemperare la tutela di interessi diversi: da un lato l’esigenza di tutelare le relazioni della persona ristretta con congiunti e conviventi, limitando gli effetti negativi della detenzione sui legami affettivi; dall’altro, la necessità di contenere la pericolosità sociale del reo e prevenirne il rischio di recidiva, a beneficio della collettività indistinta e delle stesse persone offese dal reato.

Se vero è che laddove una pena fa male al detenuto fa male soprattutto alla società poiché il soggetto ristretto, al momento di uscire, risulta peggiore di quando è entrato, appare evidente come il carcere in Italia possa non essere la medicina ma diventare una malattia, patologia della rinuncia.
Ci si auspica, per il futuro, un serio intervento legislativo sul punto, che tenga conto del monito della Corte Cost. (sent. n. 12/301), delle esperienze, in un’ottica comparatistica, degli altri Paesi, tanto vicini quanto lontani, che già riconoscono e garantiscono il diritto all’affettività intramoenia ed ultimo, ma non ultimo, delle richieste ed esigenze dei detenuti e delle loro famiglie, affinché i loro diritti, costituzionalmente garantiti, possano trovare effettiva soddisfazione, senza sbilanciare le contrapposte esigenze di sicurezza pubblica connaturali all’ordinamento penitenziario; prospettive di riforma che privilegino, immediatamente, sin dall’inizio dell’esecuzione della condanna, l’uscita dal carcere, l’incontro con i propri cari e non il distacco, la separazione, il taglio netto, cause di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.